Se il mese scorso millantavo di meditare osservando un gradino bianco, questo mese faccio finta di reggere una porta. Sono pronta a salutare l’ordine dei giornalisti, ad abbandonare il blog e a dar fuoco ad ogni singola pagina social che gestisco, finalmente è arrivata la tanto attesa illuminazione: da grande voglio fare la musa ispiratrice di un instagramer. Un ringraziamento speciale va a Franceschina @memesullaluna, la donna che pur di dare sfogo alla sua vena creativa è riuscita a piazzarmi in cima a una scogliera con un mazzo di fiori secchi in mano. Tanta stima.

“Aspetti, e se non succede niente, aspetti ancora un po’.”
Ultimamente mi fido più di Bukowski che di me stessa, quindi per 40 giorni non ho fatto altro che aspettare. “È come un insetto in cima al muro. Aspetti che venga verso di te. Quando si avvicina abbastanza, lo raggiungi, lo schiacci e lo uccidi. O se ti piace il suo aspetto ne fai un animale domestico.” In puro stile Longo la voglia di scrivere è tornata dopo 40 giorni, una pecora alla rizzola e un Polvanera 17.
Il Bukowski dei letti sfatti, delle bottiglie vuote e del sesso sfrenato ha comunque sempre la risposta che cerco. Verità assolute partorite da un uomo iniziato all’alcool a 13 anni e arrivato all’altare con una donna mai vista prima di quel giorno… tanta ma tanta roba davvero. “Avevo solo due alternative: restare all’ufficio postale e impazzire… o andarmene e giocare a fare lo scrittore e morire di fame. Decisi di morire di fame”: 3 anni fa è stata la frase che ha un po’ cambiato le cose. “Il cibo fa bene ai nervi e allo spirito” giustifica i miei raptus più ingiustificabili. Tutto si riduce all’ultima persona a cui pensi la notte: è li che si trova il cuore”: di questa ne amo semplicemente il tempismo. Comunque, in vino veritas, perché lui ci azzeccava sempre. Sempre.

Il tramonto dei tramonti, a Bari. Devo riconsiderare il mio rapporto con il rosa.

Bari-tramonto

Se c’è qualcosa che mi spaventa più della guerra è la guerra al tempo dei social. Vittorio Arrigoni avrebbe detto solo due parole, quelle che da qualche anno considero le uniche davvero con un senso: stay human.

Da circa 100 giorni sto lavorando a una serie di articoli sulle comunità musulmane in Italia con un fotografo bello, tormentato e rompicazzo come pochi. Per intenderci, quello che tra un’intervista a un imam e un’interpretazione del Corano mi ha allietato la vita con la famosa frase “La femminilità è tutto. Depenno senza possibilità di revoca le donne sexy quanto Baby con il cocomero in mano.” Continuo a sopportarlo unicamente per 5 motivi: tra 18 giorni non lavoreremo più insieme, come parla lui di Medio Oriente non lo fa nessuno, gli devo la scoperta di Jhonny Hooker, ha giurato e spergiurato che con i soldi di questo lavoro scappiamo in Palestina ad ucciderci di fatayer, la prima volta che siamo andati a pranzo insieme ha ordinato pasta e cavoli chiedendo “fate il soffritto vero?” Se il mondo fosse abitato da trentenni come lui, impegnati nel sociale e nel soffritto, sarebbe sicuramente un posto migliore, questo glielo devo. “Se mi sputtani ancora in uno dei tuoi post mi incazzo”: caro Luca, avrei potuto scrivere che Tanta voglia di lei dei Pooh è la tua canzone preferita, ma… oooopssssss! Mai minacciare una rossa, mai. Vai in Sudan e cerca di tornare alla velocità della luce, il 10 giugno i Pooh ti aspettano a San Siro, yeeeaaahh!

Il mio problema ha un nome: insofferenza. Scontata come l’outing di Roberto Bolle, è scattata dopo 48 ore, 2 notti nel mio letto, una fila all’ufficio postale di Viale Einaudi e una cena fusion a base di focaccia, strolghino, peperoni cruschi e Montepulciano. 60 giorni in loop con la frase “ho proprio bisogno di fermarmi un po’”, 48 ore per mandare a fanculo i miei sempre finti buoni propositi. A luglio scrivevo “dopo 32 lunghissimi anni, il gene lucano pare abbia preso il sopravvento: tranquillità, che condizione straordinaria”, frase che mi è costata una valangata di insulti in quanto un giorno X, a un’ora X e per un motivo X, qualcuno ha deciso di eleggermi reginetta dell’irrequietezza. A tutti quelli che mi hanno scritto “che delusione”, dedico il mio ritorno al non so chi sono, non so che voglio, non so che cerco. Felicità.

Aspettavo il Molise da 19 mesi. Dovevo assolutamente ritornare da Giuseppe L’Abbate, un uomo che andrebbe rinchiuso in cucina, legato alle pentole e costretto a cucinare h24 per buona pace di quelli come me. Alla fine andrebbe anche santificato, come tutti gli esseri umani in grado di restituire la felicità a tavola.
Il Molise 
è arrivato esattamente come volevo: a novembre, con 15 gradi, le strade deserte, l’unione perfetta di giallo e rosso a perdita d’occhio, il profumo di legna, l’agnello alla brace, i bar di paese. E poi le scoperte che fanno la differenza: a Larino è nato un pezzo da ’90 come Aldo Biscardi e ad Agnone si trova il più antico stabilimento al mondo per la fabbricazione di campane. Sò storie insomma. Sempre ad Agnone, seduto su un muretto vista infinito, oltre alle campane c’era anche Luigi, la concreta dimostrazione che i luoghi diventano davvero tuoi quando inciampi nell’incontro giusto. Soprattutto se ha 83 anni e ti offre il caffé.

molise-agnone

Quindi sì, il Molise esiste. Per la cronaca, mi sono sparata 2 ore di treno per scoprire che il mio amato Giuseppe L’Abbate è pugliese, precisamente di Polignano. Avrei preferito conservare l’idea romantica di un genio della cucina nato in un paese arroccato sulle colline molisane, ma niente. “Il mio più grande amore aveva i capelli rossi”, caro Giuseppe ti perdono il passaporto pugliese solo per la tua grande capacità di scelta. Lo trovate a Campomarino (Campobasso), in Via Biferno 41Trattoria da Nonna Rosa.

Dopo la piaga degli orzaioli non arrivarono le tanto temute cavallette ma le inaspettate bolle misteriose. Sono passati 20 giorni, non abbastanza per farle sparire del tutto ma più che sufficienti per avere 3 certezze: 4 ore al Pronto Soccorso di Bari trasformerebbero anche Osho in un kamikaze, mia madre dopo una mattinata passata scandagliando Google fino a pagina 100 può arrivare alla stessa conoscenza di 4 medici, il premio alla diagnosi più stronza di sempre – ovvero, varicella – finisce dritto dritto nel reparto di Dermatologia del Policlinico di Bari. E comunque, ALIVE.

In questo momento ho un solo bisogno primario: cercare una casa a Gozo in cui passare qualche mese. La voglio con un nome e senza numero civico, circondata da tanta bougainvillea e con una porta così. Tutto qui.

malta-door

Mettetevi in auto e impostate il navigatore: Pietransieri (Abruzzo), Ristorante La PretaVia Adua 11. Sedetevi e ordinate un piatto di cazzarielli con i fagioli, vi chiedo solo questo. Dopodiché ringraziatemi, o meglio, ringraziate chi mi fa scoprire certi posti, senza ombra di dubbio i migliori di cui ho scritto nell’ultimo anno.

Da piccola raccoglievo olive e schiacciavo mandorle con le pietre, ero una delle poche bambine al mondo a conoscere la perchiazza e a preferire la raccolta dei gelsi ai castelli di sabbia. Insomma, sono stata educata al puro cazzeggio di campagna, un’infanzia tra terra e margherite che ha forgiato il mio io bucolico. Bene, a Malta il Luca Sardella che è in me ha preso il sopravvento: ho iniziato con il profumo di aneto, poi è arrivato il mancato incontro con il cumino di Comino, a poche ore dalla partenza le ventate di gelsomino. Il dramma è arrivato con lui, il bellissimo incantevole meraviglioso fiore sconosciuto che mi ha fatto impazzire per una settimana: dopo 7 giorni di ricerche, dopo aver bazzicato per ore e ore nei forum dei botanici, dopo aver chiesto a quella strana gente che popola Yahoo Answer sempre pronta con una risposta particolarmente stronza, il nulla assoluto. La concreta dimostrazione che chi la dura non sempre la vince. Lui è il mio microfiore preferito e io devo sapere assolutamente il suo nome, chiedo quindi l’aiuto da casa e prometto a chi risolverà il misterioso arcano una fornitura a vita di perchiazza.

malta-fiori

Torniamo alle vecchie abitudini. Sono le 03:13 e non ho niente di meglio da fare che riflettere sulla mia confusione musicale: in 40 giorni sono passata da Nathan Ball a Gianni Togni, dai Seafret agli Ace of Base, dai Cake a Cocciante. In ultimo Antony Hegarty, l’Edward mani di forbici degli Antony and the Johnsons, la quintessenza della tristezza: e qui ancora una volta devo ammettere la mia profonda ignoranza e ringraziare chi l’ha portato nella mia vita. Comunque, in preda a un inaspettato raptus di bontà e conscia del non potervi infelicitare tutti con una canzone che inizia così “Spero ci sarà qualcuno che si prenderà cura di me quando morirò, quando me ne andrò”, concludo con i Mumford & Sons per 3 motivi: amo questa canzone, amo questo video e, soprattutto, amo i vagabondi senza speranza.

Dedica delle dediche: cari Antonietta ed Ezio avete l’onore di essere i primi a cui dedico i pensieri ad cazzum. Con voi ho finalmente capito l’utilità del valium e il senso più profondo della parola ANSIA. Se penso a dicembre mi viene già quasi da piangere… spero siano almeno di vostro gradimento.

  1. Luca Vannini says:

    Vorrei insultarti pesantemente, ed è esattamente quello che farò alle 20.30 quando ti telefonerò e sparerò a un volume che i tuoi timpani pugliesi neanche immaginano l’amata Roberta di Peppino di Capri. Mai minacciare un fotografo bello, tormentato e rompicazzo, mai. Ora posso dare sfogo al mio lato “cicciotenero”: quel giorno non potevo scegliere meglio. Ti porterei in Sudan con me, perché sono certo che anche lì riusciresti a darmi le giusta prospettiva delle cose, a risolvermi come sei riuscita a fare in questi 100 giorni (li hai contati davvero), a dare un po’ di pace al mio tormentato animo fan dei Pooh… non è una dichiarazione d’amore (NO NO NO!), ma le giuste parole per ringraziarti per l’infinita pazienza di questi mesi. Santa donna vado in Sudan, ma cercherò di tornare in tempo non tanto per i Pooh quanto per rapirti e portarti in Palestina, promesso. Grazie… e il resto arriva stasera!

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