Ogni 7 passi un odore.

Odori, quelli che richiamano inconsciamente luoghi, ricordi, identità.
Passi, quelli che ho iniziato a contare alla terza birra.

La strada che diventa un ristorante a cielo aperto, i cartocci tra le mani, nell’aria un fumo che racconta il mondo: dalla Puglia all’Etiopia, dai torcinelli ai falafel. Lo chiamano street food. Sporca le mani, appaga i sensi, è democratico. Non richiede tavoli né posate, riportando a un appagante stato primitivo fatto di sapori intensi a km zero.

Food truck, ovvero, portatori sani di godimento e felicità. Ne gode l’olfatto, ne gode il gusto, ne gode l’udito con quel continuo scoppiettio da fuoco e olio bollente, ne gode la vista. Il cibo come scoperta – o riscoperta – di un luogo: una piazza, un vicolo, una strada.

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Street Food a Foggia

Il cibo di strada mi ha portato a Foggia per la terza edizione di Libando. Una città di passaggio, quella difficilmente scelta di proposito, quella che oltrepassi, quella del “fuggi da Foggia”. E invece no. Foggia è quella degli ipogei, dei cunicoli, dei palazzi nobili, di quelli in pietra, delle 51 chiese, dei panni stesi al sole tra un Apecar e una Fiat 126; la città dei torcinelli e dei troccoli, del centro storico che riversa nei vicoli il profumo delle cucine. Foggia è quella del signor Ettore e della sua sala da ballo: decine di foto alle pareti, un lungo tavolo per “mangiare tutti insieme”, un palchetto votato alla musica, “il muro asciutto asciutto, senza un filo di umidità”. Ne sono uscita con una tessera onoraria, un invito a cena e la promessa di un ballo, insomma, colpo gobbo.

Una città difficile e problematica da un lato, incredibilmente attiva e fiduciosa dall’altro. Il cibo riempie le piazze, unisce la provincia, anima (o forse ri-anima) il centro storico. Libando ha realizzato il piccolo miracolo della felicità da street food: ‘sentito’, ecco la parola che descrive meglio questo giovane festival del cibo di strada. Sentito da chi organizza, da chi cucina, da chi partecipa con la sua stella Michelin e, soprattutto, da chi mangia.

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Aprile: 25 gradi, il sole, una birra artigianale in una mano, un cartoccio di torcinelli nell’altra. Passare da un arrosticino a un’oliva ascolana, da un panino di mare a una bombetta, è roba da intellettuali del gusto e io l’ho fatto. Ne è uscita una top 3, quella dei food truck che ritengo assolutamente imperdibili e che spero vivamente di ritrovare alla quarta edizione di Libando.

In cima alla classifica loro, i torcinelli di Sherwood. Li ho amati, ancor prima di scoprire la meritatissima medaglia d’oro all’Oscar del Cibo di Strada. Creano dipendenza, davvero. Sapere di poter trovare il chiosco di Matteo per circa 365 giorni all’anno nel cuore di Foggia, in Viale Michelangelo, dona un po’ di pace al mio animo. Alla fine è solo un’ora di auto e ne vale assolutamente la pena.

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Seguono a ruota i Panini di Mare di Mario Ottaviano. Il patron del Trabucco da Mimì non ha bisogno di presentazioni, lo stesso vale per i suoi panini, descritti perfettamente da queste parole “I tentacoli del Polpo, il rosso del tonno, la delicatezza dei gamberetti, una fresca marinatura, la piastra, un panino croccante e spennellato di olio extravergine d’oliva, figlio di quelle olive maturate sotto il sole del Gargano, laddove la Montagna del Sole precipita a picco sul mare. E poi le cipolle caramellate, la rughetta, una manciata di pomodori: il cartoccio d’ordinanza e via. Cotto e spiluccato.”

Si continua con il cartoccio di Calipso fish&croc. Una coppia di Manfredonia, la patria del buon pesce: Michele, pescatore, e Rosa, ottima cuoca. Il risultato è uno street food fresco, a filiera corta, originale e curato. Li trovate tutto l’anno in Via San Francesco 137 (Manfredonia).

E poi le chips di caciocavallo podolico di Dario Perrella, il takoyaki di Keisuke Aramaki, lo sformatino di verdure spontanee di Paolo Laskavj, solo per citare alcuni assaggi delle tante masterclass  tenute dai migliori chef del sud Italia.
Libando è stato questo, un assaggiare, spiluccare, assaporare h24. Ben vengano (e, anzi, vengano) eventi come questo, capaci di onorare il troppo spesso bistrattato cibo di strada, ma quello di qualità. Eventi che permettano ai cittadini di riappropriarsi di quei tanti spazi troppo spesso lasciati alla noncuranza, che portino la folla in strada, che diventino un appuntamento fisso e di riferimento per appassionati, curiosi, viaggiatori.

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Dove mangiare a Foggia

Il 90% delle donne sogna Matthew McConaughey e Brad Pitt, io no. Mi divido equamente tra Antonino Cannavacciuolo e Peppe Zullo, uomini che sanno davvero come rendere felice una donna o, almeno, una come me, profondamente votata alle gioie da tavola. L’incontro con Zullo è arrivato in strada davanti a un piatto di orecchiette al luppolo, per proseguire con un cartoccio di borragine fritta tra le mani nel suo nuovo locale di Foggia. Un piccolissimo ritrovo per gli amanti del buon cibo in Via Dante Alighieri 52, assolutamente da segnare. “Simple food for intelligent people” direbbe Zullo, così è.

Un altro indirizzo, questa volta nel cuore del centro storico. Pasta fatta in casa, materie prime a km zero, piatti semplici e stagionali, un signor semifreddo al cioccolato. La signora Francesca della Trattoria del Cacciatore (Via P. Mascagni 12) è la mamma che tutti dovremmo avere in cucina: autodidatta, fedele alla tradizione e alle ricette ‘povere’ che riescono ad esaltare perfettamente i frutti della terra e del mare. Un piatto di cavatelli fatti in casa accompagnati da una crema di asparagi o da una manciata di fave fresche è il riassunto della Puglia e della gastronomica fortuna che abbiamo.

Ho deciso di chiudere con un proverbio cinese, condividendo – con chi avrà avuto la pazienza di arrivare fin qui – uno dei mantra della mia vita: “Mangiare è uno dei quattro scopi della vita. Quali siano gli altri tre nessuno lo hai mai saputo.” Prosit.

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