Aware: in giapponese, la sensazione dolceamara che si ha quando si sta vivendo un momento di grande bellezza.
26 giugno. Skjerjehamn, Norvegia.

Ho saltato un mese, poi due, alla fine tre. Ci sono stati un po’ di aerei, qualche treno, tante ore di ritardo, alcune cene solitarie, tante in tanti, i ritorni, le mail da recuperare, i post da consegnare, le foto da scaricare. C’è stata l’ora blu a Salò, la cacio e pepe a Roma, la solita sequenza birra-vino-vino-spritz a Bologna, i fiori di Grado, una margherita d’asporto da 8 euro a Milano, le pulcinelle di mare in Norvegia, la torta alle carote all’ombra di un trullo a Cisternino. Per concludere, come da tradizione, una bella confezione di Zitromax, quella che da circa 3 anni mi comunica amorevolmente “Per te Miss Italia finisce qui”. Quindi home sweet home, molto home e poco sweet.

A volte capita di non avere nulla di così intelligente ma soprattutto così risolutivo da dire. Nulla che aggiunga senso. Lavorando grazie, con e sui social, negli anni sono giunta alla personale conclusione che forse, a volte, è meglio non aggiungere nulla al circo di parole messo in piazza qua e là. Quando tutti hanno qualcosa da dire significa che da dire non c’è davvero più nulla A volte capita, a chi ha deciso di raccontare la bellezza del mondo, di perderne il senso, di pensare “a cosa serve se…”. Quando si perde il senso di ciò che si fa, quando arriva l’impotenza beh, personalmente decido di fermarmi.

“Non esiste l’umidità, solo il phon sbagliato.” All’improvviso l’illuminazione e la risposta al perché, circa 10 anni fa, io e la mia bella valigia di cartone abbiamo abbandonato la Milano da bere dopo una felice parentesi fatta di giornalisti e aperitivi: l’umidità. L’idea di passare una vita crespa e cotonata non mi allettava ma, devo ammetterlo, se avessi avuto a disposizione il phon miracoloso di Stefania Pozzi chissà, forse le cose sarebbero andate in un’altra direzione. Mah. Saluti da una Puglia umida, ma pur sempre meno umida di Milano a fine giugno.

Ho abbandonato Spotify per le mie care, vecchie, playlist Youtube, quelle che mi avete insultato per mesi. Mi sembra giusto premiare chi ancora dopo 2 anni è qui a leggere questi post, con Bonnie Tyler e una di quelle canzoni che usavo a 14 anni per piangere quando non avevo alcunché misero motivo per farlo.

Una chiesa e 455 abitanti: benvenuti a Codrea, minuscola frazione in provincia di Ferrara. Dovevo arrivare qui, dopo un temporale e mezzo litro di birra, per scoprire il significato della parola sagra: le 4 luminarie in croce, il campo da calcio adibito a parcheggio, le tavolate con i fiori a mo’ di centrotavola, i 455 abitanti che si salutano, i vicini di provincia, i forestieri e tre baresi. A capo di tutto lui: l’arrosticino. Sì, fatevi tante domande, ma non sforzatevi a darvi le risposte perché ovviamente ci ho pensato io, ammorbando un intero paese per un’intera serata. Partiamo dalle più ovvie: perché una sagra dell’arrosticino in Emilia? Perché una specialità abruzzese nella piana emiliana? Perché, perchééé? Sono partita ignorando l’esistenza di Codrea e in 2 ore sono arrivata direttamente alla mente di tutto, al signor ‘presidente’, a lui, Vincenzino Di Pietro: nato in un paesino ai piedi del Gran Sasso e trasferitosi nella provincia di Ferrara, 11 anni or sono decide di accendere un fuocherello e buttarci su qualche decina di arrosticini per una causa molto più che nobile, ovvero, allietare per qualche giorno la vita un po’ monotona dei ragazzi di un paese con una varietà di passatempi non proprio pari a quella di Las Vegas. “I miei figli volevano un passatempo, così presi una griglia e ci misi sopra degli arrosticini.”: con queste parole il signor Vincenzino ha sancito il nostro amore. Da 70 arrosticini si è passati a 700, da 700 a 7.000, insomma, la sagra dell’arrosticino di Codrea è ormai un’istituzione. Ricorderò per sempre Codrea come il paese in cui ho rischiato di sciogliere per sempre le mie papille gustative: il merito va al famigerato digestivo bomba, una zolletta di zucchero lasciata a macerare per un anno intero in un liquore al limone o all’arancia “semplicemente da sciogliere in bocca”… tanta, infinita stima alle lingue di amianto che reggono indenni tutto ciò. La conclusione è solo una: per un mondo migliore ci vorrebbero più Vincenzini Di Pietro, più sagre fatte a sagre, più cose fatte per il puro gusto di essere fatte e soprattutto, ci vorrebbero sempre e comunque più arrosticini.

Mi sono imbattuta nell’uomo che ha trasformato la mia infanzia in un inferno: Jules Renard, lo scrittore francese diventato celebre con Poil de carotte, ovvero, Pel di carota, la triste storia del ragazzino dai capelli rossi non amato da nessuno che da esserino introverso si trasforma in piccolo diavolo seviziatore di animali indifesi, nonché in minchioncello deciso a suicidarsi con una tecnica davvero innovativa: una secchiata d’acqua fresca in testa. Tralasciando le ferme convinzioni di questo ragazzino un po’ rincoglionito e il mio astio per l’unione delle tre parole pel+di+carota, mi sono imbattuta in una sorta di riassunto dell’essere umano arrivato proprio dalla penna di Renard: “non sono sincero nemmeno quando dico che non sono sincero”. Così è, per buona pace di tutti.

Domenica in Friuli.

Grado-centro-storico

Non ci penso spesso ma ci penso, negli ultimi mesi più che mai: nel bene e nel male, nella stanchezza e nell’euforia, nell’esserci per pochi e non esserci per molti, nei risvegli solitari, nei piani scoppiati, nei ritorni rimandati, nelle giornate passate h24 davanti al pc, nei post scritti tra le note del telefono, nella piena coscienza di giornate altamente e totalmente disorganizzate, in tutto quello arrivato per caso, in tutto quello arrivato per merito, in tutto quello arrivato per culo, in tutto quello che è stato perso, sostituito, scelto al posto di, bene, questa vita un po’ idealista, molto gipsy, un tantino noncurante di troppe cose, tendenzialmente libera e, forse, anche abbastanza immatura, è esattamente la vita che volevo.

Viaggiare insegna ad essere gentili. Insegna delle parole fondamentali come per favore, grazie, prego. Insegna a chiedere con un sorriso e a rispondere con un grande sorriso. La gentilezza non ti fa mai sentire solo. Possiamo anche illuderci di bastare a noi stessi, ma la realtà è che tutti, proprio tutti, abbiamo sempre bisogno dell’altro. Anche solo per aprire una maledetta bottiglietta di plastica dal tappo invincibile. Ergo, negli anni ho sviluppato una totale, assoluta, incontrollabile insofferenza verso la maleducazione.

Donna complicata dai piaceri semplici. Solo un fotografo poteva riassumermi in 33 caratteri. Comunque aveva ragione, perché questo per me è piacere, infinito piacere. 23 luglio, Puglia.

Puglia-mare

“Un Direttore con il quale ho lavorato quando ero agli esordi, ricordo, mi disse che il primo sentore per affacciarsi su una nuova città lo si avverte sedendosi a un caffè, andando a fare la spesa, scoprendo il mercato, chiacchierando con chiunque e leggendo la stampa locale.” Ho scoperto Ilaria Guidantoni, giornalista divisa tra Italia e Tunisia. Ho tra le mani tre dei suoi ultimi libri: fresca, impegnata, sincera. Ho deciso di partire da Masiglia-Algeri, viaggio al chiaro di luna e, davvero, è proprio un grande piacere leggerla. Sharing is caring, quindi sì, dovevo assolutamente consigliarla.

Tra 8 giorni dovrei partire. Dopo 7 anni vivrò uno dei lussi più ambiti del 21° secolo: 10 giorni senza alcuna connessione. Non dovrò comprare la milionesima sim estera. Non dovrò passare da una pagina Facebook a un account Instagram, da un Twitter a un G+. Non dovrò fare nulla. Dopo 7 anni, un lusso.

Ho riletto i pensieri ad cazzum di luglio 2015, quando sventolavo tra le mani un biglietto per l’Albania. A distanza di 365 giorni mi vengono solo 5 parole: chi lo doveva dire. Nel bene e nel male, il bello è che le cose capitano sempre quando meno ce lo aspettiamo. Quest’anno vi auguro buon agosto con 53 secondi da sogno: 1985, spot Levi’s. Colonna sonora: Sam Cooke. L’augurio per un’estate piena di vinili, persiane che si abbassano e, soprattutto, uomini fisicati immersi vestiti in una vasca piena d’acqua: buone vacanze.

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