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Sud America

Viaggio a Buenos Aires: consigli su cosa fare, dove mangiare, dove dormire.

Roberta Longo / 2 dicembre 2019

Ogni viaggio ha la sua parola, quella che riassume, quella che spiega. Ridefinire è quella del mio viaggio a Buenos Aires. Nella Puna ho ridefinito il concetto di spazio, a Iguazú di potenza, nella pampa argentina Continue Reading

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Voglio invecchiare facendo cose belle.

L'ho capito a San Antonio de Areco, nel mezzo della pampa argentina. Era un giorno di agosto, il giorno in cui ho conosciuto Nora, grande fan di Milly Carlucci e Guillelmo Mariotto. Il giorno in cui Roberto mi ha mostrato la sua stanza della birra. Il giorno della Quilmes nell'emporio, che oggi è un bar, ma resta emporio nell'anima. Il giorno del primo, scioglievole bife de lomo e del Rutini del 2016.

Viaggiare è una grande cosa.
Il racconto continua sul blog ed inizia su un bus. Buona lettura.
#Argentina

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Ho scritto un post, in cui vi auguro di perdere il sonno, ma non solo. Tra parole depennate, parole disinformate, parole partecipate. Da un galletto a dei tortellini in brodo. Da Milano a Sherwood. Dall'Iraq a Raqqa. Di principesse rintronate e orsi danzanti.
I primi 14 giorni.
Il link è in bio. Questa invece è una porta che accoglie e delle sedie orfane di spettatori stanchi. Buona lettura.

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Andare.
È sempre stata la principale prerogativa, quella che il più delle volte ha scelto di accantonare il restare. Andare è sempre meglio che restare? Direi di sì e mentre lo dico cerco di accettare quel pizzico di egoismo che tutto, tutto fa passare in secondo piano tranne l'andare. È stato così, anche negli ultimi 365 giorni.

Il tempo ha il potere di ridefinire ogni cosa, anche il modo di viaggiare. Quest'anno ho lavorato sull'impatto sociale della me viaggiatrice, l'anno prossimo vorrei concentrarmi su quello ambientale. Non è un proposito, è una certezza.

Fare qualcosa per qualcuno. A casa o lontano da casa. Il senso per me, adesso, è questo.

La strada non ho ancora ben capito come percorrerla. Forse, i bus dalle vecchie poltrone occupate da idiomi incomprensibili, è la dimensione che più mi si addice. L'ho provato ovunque e non mi ha ancora stancato.

Ho lasciato che il panettone prendesse il sopravvento. Insieme al divano, ai vinili, ai libri, alla scrivania da riordinare. Ho lasciato che la voglia di studiare per bene la prossima destinazione prendesse il sopravvento su quella di salire sul primo aereo in partenza da Bari. Oggi sono a casa e non vorrei essere altrove, forse, per la prima volta.

L'anno è una concatenazione di giorni. Felici, tristi, adrenalinici, assonnati, straordinari, ripetitivi, indimenticabili, da dimenticare subito. Credo nel continuum, poco nelle interruzioni illuminate dalla luce di una stella filante.

Domani non scriverò. Mangerò, ancora. E ci saranno i countdown, ci saranno i desideri sulla pergamena da bruciare a mezzanotte, ci saranno le lenticchie che portano i soldi e il melograno che allunga la vita. Il bello dell'uomo è questo, credere a tutto mentre continua a non credere a nulla. Buon anno nuovo, buon vecchio continuum.

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Ho scritto un post che riassume, a grandi linee, gli ultimi 12 mesi della mia vita. Dai mesi in cui mi sentivo infelicetemente approssimativa a quelli che ho quasi interamente rimosso, dall'esplosione della bolla ad oggi. Dovrebbe leggerlo chi dei social ne ha fatto un lavoro, chi vive incastrato tra la paura di cambiare e la voglia di ricostruirsi. È un post che parte da due parole e termina con un abbraccio. È anche un post in cui parlo di donne che ammiro e amici che mancano. Spero vi strappi un pensiero, un sorriso, un ritornello stonato sulle note dei Muse. Il link è in bio, buona lettura a chi vorrà passare con me un po' del suo tempo. [Ringrazio @giovyfh con tutto il mio cuore, @maricler per avermi commosso e fatto riflettere con il suo podcast, @labnoon nella speranza di partecipare quanto prima a un suo corso di cucina persiana]
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#mystory #allwhatsbeautiful #loveyourself #timeisnow #changeyourmind #wordstoinspire

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La prima bozza di questo post iniziava così "Ho pianto." La seconda "Una storia d'amore, una storia di cibo, una storia d'amore e di cibo. Ho pianto." La terza "Le storie degli altri sono anche la nostra." omettendo volontariamente la parte del pianto, che solitamente riservo alle disgrazie più disgraziate. Ho sempre le parole più o meno giuste per tutto, ma questa volta continuo ad inciampare. Grazie @maricler, mi hai ricordato perché scrivo di viaggi, cibo, conflitti e ingiustizie. Racconto storie, da sempre, ma mai storie che abbiano a che fare davvero con i sentimenti, con le relazioni, con l'amore appunto. Comunque no, non ho pianto per questa presa di coscienza. Ho pianto perché Lingua, il podcast di Mariachiara, è delicatezza, suggestioni, cicatrici, sapori immaginati, sapori familiari. Come quella pasta che sa di sassi, quella dopo un "non ti amo più." È bastato chiudere gli occhi per assaporare la tartare di pesce di Ciccio Sultano o la torta con l'uva della signora Pasqua. È bastato chiuderli una seconda volta per immaginare l'ultima spesa fatta insieme finire nella pattumiera. Ho aspettato qualche giorno per ascoltare la prima puntata di Lingua, il racconto del divorzio di Mariachiara: volevo concentrarmi sulla sua voce, su quelle parole che riesce a mettere magistralmente in fila con un'invidiabile naturalezza, parole vere, semplici, disarmatanti.
Cibo e amore, un po' il riassunto della mia e di tante altre vite. Quella vita, la mia, che oggi è intrisa dal profumo della focaccia sfornata ad orari improponibili, dal sapore delle patate condite con olio, sale e un'abbondante mangiata di quell'incredibile origano comprato tra le montagne del Libano, della dolcezza della caprese a colazione. L'amore solido si riconosce dalla tavola.
Mi sono persa, quindi lo scrivo qui per benino invitandovi davvero a scaricare @storytel.it e ad ascoltare 6 storie che, attraverso il legame con un piatto o un ingrediente, raccontano una particolare relazione. Per il resto amate, mangiate, baciate, lasciate e... ah sì, piangete. Buon ascolto, perché lo sarà. #linguapodcast
[Questa foto così rosa nasconde un pranzo da 3000 calorie a base di souvlaki, saganaki e moussaka]

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Non so se riuscite a intravederla, sulla sinistra, questa frase "que haya paz en la tierra y comience por mi". Fa che ci sia pace sulla terra e che inizi da me.
Ho pensato spesso a quelle parole, "y comience por mi" e l'ho voluta leggere così: essere i primi di una rivoluzione. Rivoluzione, che parola complessa. A pensarci bene, però, la parola rivoluzione contiene la più rassicurante "evoluzione" e questa, da sempre, spetta a noi. Nient'altro che noi. Il passaggio dall'evoluzione di uno alla rivoluzione di tanti è quello che ne consegue. Cambiano così le cose.
Ho tanti amici mediorientali: alcuni conosciuti in viaggio, altri qui. Le ultime settimane sono settimane di protesta quasi per tutti loro. Questa mattina Liad, libanese, mi ha scritto "è sceso in piazza anche mio nonno. Ha detto che 1+1+1 fa la storia." 1+1+1. L'evoluzione che diventa rivoluzione.
Una rivoluzione che chiede cosa, alla fine, se non giustizia? E la giustizia cosa comporta se non la pace? Siamo dunque tutti evoluzione, rivoluzione, storia: è quando ne prendiamo coscienza che le cose iniziano a cambiare per davvero.
#rEvolution

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#Beirut.
L’avevamo deciso da settembre. A dirla tutta, l’aveva deciso lui.

Bari – Roma. Roma – Beirut.

Atterriamo a Beirut il 26 dicembre. Piove e avrebbe piovuto per circa sette giorni consecutivi, ma questo non potevamo saperlo.

La prima cena è stata un tripudio di falafel e hummus. L’hummus, in particolare, è stata la molla gastronomica di questo viaggio in Libano ma, del resto, non poteva che essere così nella terra che gli ha dato i natali.
Strano a dirsi, però, il nostro amore è stato leggero, quasi fulmineo oserei dire: di lì a poco, a rompere l’incantesimo, sarebbe arrivato il babaganoush. Amore, di quelli folli.
Beirut è stata base, casa.

Beirut è stata traffico, traffico caotico e assordante.
Sembra quasi che vi siano più auto che abitanti, più clacson che pulviscoli di polvere.
Sarà stato per questo o per la voglia di provarle davvero tutte, che abbiamo deciso di spostarci in minibus. Pazienza e grande spirito di adattamento: se rientrano tra le vostre più grandi virtù saltate sul primo bus e godetevi lo show, al contrario, affittate un auto o affidatevi a un driver.

Il nostro è stato un viaggio di attese, destinazioni saltate e fermate improvvisate. Siamo arrivati quasi al confine con la Siria, abbiamo vagato tra i monti dello Shuf, abbiamo rischiato un 31 dicembre sul ciglio di una strada con il pollice in su. Rifaremmo tutto allo stesso modo? Tutto. Perché quel “tutto”, come sempre, è stata l’anima del viaggio. La più bella. [Continua sul blog, con una serie di indirizzi da segnare, tra cui quello di questa piccola, piccola libreria gestita da un amorevole libraio. Link in bio]

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Sono trascorsi 2 anni.
730 giorni.

Gli ultimi pensieri ad cazzum risalgono all’11 ottobre 2017. Era un mercoledì, come oggi.
Scrivevo di attese, di realtà inclusive, di sospensione, di percezioni, di imperfetto perfetto.

Li ho letti tutto d’un fiato. Come se quelle parole non le avessi scritte io, come quando si divora una storia frementi di arrivare all’ultima pagina ben consci, però, di non voler leggere la parola fine. L’ho letto di nuovo ed è stato proprio a metà di quella seconda avida rilettura che ho capito il perché.

Il perché in questi ultimi due anni, durante questi 730 velocissimi lunghi giorni, mi sia spesso capitato di aprire Messanger e trovare sempre la stessa domanda: perché? Perché non li scrivi più? [... continua sul blog, link in bio] #pensieriadcazzum

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